Enrico Pieranunzi: «Il jazz? Un´oasi in cui rifugiarsi. Per non emigrare.» 
Intervista di Jacopo Cosi
L´Unità (Firenze), 29 gennaio 2011

Il musicista presenta stasera alle Vie Nuove il nuovo lavoro «Wandering» e si racconta.

Piano solo per il ritorno di Enrico Pieranunzì, dopo due anni, al Pinocchio Jazz. Il maestro (Roma, 1949), conosciuto e acclamato a livello internazionale, presenta Wandering, ultimo album all´ attivo dopo una serie di progetti, un disco omaggio a Scarlatti e uno "latin", assolutamente da avere nella propria teca. Lo abbiamo raggiunto in albergo a Genova, dove ha suonato ieri, prima di recarsi oggj nel capoluogo toscano.

Cosa significa «Wandering»?

«Vagabondare. Nel disco ci sono due tipi di pezzi: uno completamente improvvisato, l´altro strutturato e composto quasi in forma canzone».

È contento di tornare a Firenze?

«Molto. Il Pinocchio Jazz e l´associazione Vie Nuove sono un luogo particolare. Quasi commovente visto l´aria che tira, quello che si sente e si vede alla tv tutti i giorni, dagli scandali al resto. Avere a che fare con dei ragazzi che organizzano concerti jazz, con questa "pulizia", in quella che è una specie di oasi, rincuora. Altrimenti ci sarebbe da emigrare) »

Nel 2008 ha affrontaio la classica con «Pieranunzi plays Scarlatti".Perché?

«È stata un´operazione radicale. Ho improvvisato sulle sonate in maniera molto libera. Oppure ho fatto il procedimento opposto: partire dall´improvvisazione libera per arrivare alla sonata. Il jazz come proseguimento delle composizioni di Scarlatti».

Tra le tante cose che ha fatto, anche un libro su Bill Evans ...

«Più che il musicista mi interessava la figura artistica. Un poeta maledetto, silenzioso, una unione tra creatività e autodistruzione. Ho voluto scavare nella sua vita, nel suo carattere»

Tra i mostri sacri con cui ha suonato. Che! Baker. Quali emozioni?

«Chet mi emozionava sempre, anche quando si accordava in si bemolle. Aveva una tale musicalità... Con lui ho fatto quattro dischi. Avremo scambiato sì e no quindici parole in tutto. Ma mi ha cambiato la vita, il modo di suonare. Avevo trent´anni, ero molto tecnico, esuberante: con i suoi distillati di feeling e melodia mi scioccò. È attraverso di lui che poi sono arrivato a Bill Evans»

E suonare con Lee Konitz com´è stato?

«Un musicista molto più avventuroso. Addirittura più di quello che molti hanno percepito. Non è cerebrale, è un grande ricercatore, uno dei più audaci della storia del jazz. Ho preso a piene mani questa sua catteristica, gli intervalli, la rinuncia ai cliché».

Infine nella sua ultima produzione artistica anche un latin jazz quintet?

«Una mia passione segreta, quella per la musica cubana, che preferisco a quella brasiliana. Ho avuto la fortuna di suonare con un gruppo formidabile, costruito intomo alla batteria devastante dI Antonio Sanchez, con Patitucci al contrabbasso, Diego Urcola (tromba), Yosvany Terry (sax). L´abbiamo registrato al Birdland di New York in un´atmosfera calda e indimenticabile» .


scritto da Jacopo Cosi